Sono note soprattutto perché il loro volto è ricoperto da una maschera di cera, estremo tentativo di riprodurre i tratti facciali che avevano in vita.
Ma le mummie di Gangi, custodite nella chiesa madre dedicata a San Nicolò di Bari, hanno molto ancora da dire. E lo hanno fatto attraverso lo studio finanziato nel 2015 da National Geographic, di prossima pubblicazione sulla rivista scientifica internazionale “Forensic imaging”, che ha coinvolto Ron Beckett e Jerry Conlogue dell’Università americana di Quinnipiac, protagonisti del celebre programma The mummy road show, Mark Viner, dell’ateneo britannico di Cranfield, e Sahar Saleem e Ahmed Said, radiologi del Cairo impegnati a investigare le celebri mummie reali egiziane.
La ricerca multidisciplinare, che ha riguardato 36 mummie di prelati vissuti tra il XVIII e il XIX secolo, è stata condotta in cooperazione con la Diocesi di Cefalù e la Soprintendenza dei beni culturali di Palermo, nella persona di Selima Giuliano, già direttore dell’unità operativa beni demoetnoantropologici.
“Apprendo dei risultati delle indagini sulle mummie di Gangi – afferma Alberto Samonà, assessore dei beni culturali e dell’identità siciliana – effettuate grazie al progetto finanziato da National Geographic, dopo pochi giorni dalla ricorrenza dei morti. Una festa attraverso cui si manifesta il rapporto dei siciliani con la morte, quel culto che si esprime nella sacralità tra vivi e defunti e che tanto si radica nella nostra tradizione da diventare elemento fortemente identitario. Lo studio, condotto dall’antropologo Dario Piombino-Mascali che è anche conservatore delle Catacombe dei Cappuccini di Palermo e, dal 2011, ricopre l’incarico di ispettore dell’Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana, ci rafforza nella consapevolezza di dover sempre più salvaguardare un patrimonio unico e diffuso in Sicilia, in grado di offrire sempre nuovi e interessanti contributi nella conoscenza di stili di vita, abitudini, alimentazione, malattie, relative al periodo in cui i defunti mummificati hanno vissuto, ma anche di attirare una fetta molto importante di turismo culturale”.
“Valorizzare le bellezze artistiche del nostro territorio è stato uno degli obiettivi che mi sono posto durante la mia amministrazione – dice Giuseppe Ferrarello, già sindaco di Gangi – oggi mi riempie di orgoglio raccogliere i frutti di un progetto nel quale ho creduto fortemente, assieme alla mia amministrazione, alla curia e al parroco di allora, don Pino Vacca. Grazie anche alla ricerca condotta dal professor Dario Piombino-Mascali, che ha messo in campo la sua conoscenza e professionalità”.
Gli fa eco don Giuseppe Amato, parroco della chiesa madre: “In tanti visitano le bellezze artistiche di Gangi e in maniera particolare le molteplici opere d’arte custodite nelle chiese. Cerchiamo sempre di garantire loro la fruizione, poiché in esse è custodito un inestimabile bagaglio culturale e religioso. La visita alla cripta, poi, è diventata tappa obbligata del nostro turismo culturale”.
“Si tratta di soggetti di età compresa tra i 42 e gli 81 anni. Questo – spiega Dario Piombino-Mascali, coordinatore dello studio e del Progetto mummie siciliane – giustifica l’esistenza di patologie degenerative, come l’artrosi, che si sposano con l’età avanzata della maggior parte dei soggetti analizzati. Abbiamo inoltre riscontrato quattro casi di malattia di Forestier, una condizione associabile al diabete di tipo alimentare, e vari esempi di calcolosi delle vie urinarie, che potrebbe essere indotta da obesità, eccesso di zuccheri e proteine animali. E poi sono presenti fratture occorse in vita, come quelle alle coste, o lesioni al cranio, indici di patologie ben più serie. I campioni analizzati – afferma lo scienziato – sono mummie naturali e in due casi abbiamo rilevato evidenze di autopsie”.
Ma le mummie di Gangi hanno rivelato anche molto altro: per esempio il metodo con cui all’epoca furono collocate all’interno della cripta, con pali di legno e il supporti di fil di ferro. Una serie di particolari, poi, induce a ritenere che, anche nell’ultimo luogo di permanenza terrena, l’attenzione al decoro e ai rapporti intrattenuti in vita con l’arte continuassero ad alleviare la solitudine dei prelati anche dopo il trapasso. Le maschere di cera, ad esempio, con quei residui di arsenico utilizzato probabilmente per colorarle; o quel piccolo cartiglio custodito in bocca da un defunto. O, ancora, quel collarino ecclesiastico fatto da un frammento di spartito musicale. Molte delle deposizioni di Gangi sono inoltre corredate da sonetti, che ne descrivono la vita e opere.
Qui giace anche il gangitano esponente dell’arcadia Giuseppe Fedele Vitale, vissuto nel Settecento e considerato da molti il più grande poeta dialettale dopo Giovanni Meli. Nel 1789 decise di porre fine alla sua vita buttandosi da una finestra.
“Ma sulla mummia attribuita a lui i raggi X non hanno rilevato fratture o traumi di alcun tipo, il che potrebbe significare che il corpo indicato con quel nome non sia quello del poeta. Quello di Gangi è un patrimonio di informazioni, di cui la comunità ha grandissima cura. Nel corso dello studio – conclude Dario Piombino-Mascali – sono rimasto piacevolmente colpito dalla disponibilità dei giovani collaboratori della parrocchia: studenti che si spendono con generosità affinché la sepoltura sia sempre fruibile. Un esempio virtuoso del fare comunità attraverso i beni culturali”.