Ci sono voluti più di trent’anni ma alla fine il Museo Interdisciplinare Regionale di Messina è stato consegnato alla città. L’attesa era tanta e il paradosso difficile da ignorare così a dicembre è andata in scena una prima inaugurazione con le ultime rifiniture ancora in corso. La seconda cerimonia, a distanza di sei mesi, è quella che sancisce un traguardo che ha un senso se diventa punto di partenza e innesca un approccio nuovo alla gestione e fruizione del patrimonio storico artistico, diverso da quello che ha prodotto tre decenni di attesa. Il viaggio che si intraprende attraversando le sale, parte da dove tutto è iniziato e va fino a dove tutto è finito, quel 1908 che segna una frattura ancora insanabile per Messina. In quel percorso cronologico allestito si riannoda il filo dell’identità spezzata, forgiata dalle culture che qui si sono incrociate trovando terreno fertile da dove attingere e dove lasciare tracce indelebili. Porto naturale, transito obbligato per millenni tra Oriente e Occidente, Messina è stata il baricentro di interessi culturali ed economici nel Mediterraneo. Spiegare come si concili quel passato con la realtà dentro la quale si piomba una volta fuori da quelle sale è la cosa più complicata, ma da qualche parte bisogna pure ricominciare e l’Assessore ai Beni culturali Carlo Vermiglio e tutta la politica, regionale e nazionale, schierata alla cerimonia, ha voluto dare grande rilievo a questa “compiuta”, inserendola, nelle intenzioni, nei progetti di rilancio, non solo della città ma dell’intera Sicilia.“Oggi restituiamo a tutti i cittadini e ai visitatori un patrimonio troppo a lungo negato – dice Vermiglio- e in una prospettiva futura, il museo deve rientrare in una visione strategica in cui la cultura possa essere il lievito della nostra società, ricucendo e mettendo a sistema il patrimonio artistico e traendo da esso modelli innovativi di sviluppo economico e di crescita sociale”. Nessuna intenzione di farne un archivio della memoria per il direttore Caterina Di Giacomo “piuttosto un trampolino di lancio di quella “Messinanuova”, simbolo della ottimistica proiezione futurista, celebrata con la mostra di avvio della destinazione della storica Filanda all’ ospitalità di grandi eventi”. Di una “opportunità per il riposizionamento di Messina nel panorama culturale ed economico mediterraneo ed europeo” parla Gianfranco Anastasio, responsabile dei lavori di completamento. “Gli interventi tecnici, espositivi e di valorizzazione – dice Anastasio – predisposti dagli staff interni al museo che si sono susseguiti negli anni, si sono sviluppati intorno all’idea di museo come “macchina urbana e sociale”, luogo aperto alle complessità del mondo contemporaneo, laboratorio per una rinnovata consapevolezza storica a partire dalle sue eccezionali collezioni artistiche, patrimonio vivo e strumento potente per costruire opportunità declinate al futuro”. Durante la conferenza stampa è stato anche ribadito che tutto sommato gli 11milioni e mezzo di euro spesi in 32 anni non sono nulla rispetto alla rilevanza e alla complessità dell’opera. (“si è spesa la stessa cifra per il museo di Bolzano ma in tre anni”), come se il tempo non avesse di per sé un valore. Questi trent’anni sono passati invano mentre poteva già succedere quello che adesso si può cominciare a fare, un danno che sta pagando la città.
La struttura espositiva, inserita in un parco distribuito in oltre 17mila mq – si annuncia come uno dei poli museali più grandi del Meridione. Oltre all’area a verde, che ospita i reperti architettonici salvati dal terremoto del 1908, il Museo riunisce sia il patrimonio storico artistico della città messo in salvo da chiese ed edifici storici danneggiati o distrutti dal sisma, sia quanto rimasto della collezione dell’antico Museo Civico Peloritano: un racconto scandito da 750 opere d’arte che, dai primi reperti archeologici della fondazione nell’VIII° secolo a.C e fino all’ultima tela datata 1904, documentano in sequenza ragionata la millenaria storia di Messina. Solo una parte di queste opere, infatti, e a rotazione, è stata esposta negli anni nelle sale della ex Filanda Mellinghoff, opificio ottocentesco risparmiato dal terremoto e destinato a sede museale. Fra i pezzi di particolare pregio figurano due grandi capolavori di Caravaggio, realizzati dal Merisi in fuga in Sicilia, (“Resurrezione di Lazzaro” e “Adorazione dei Pastori”) e due Antonello da Messina (“Polittico di San Gregorio” e l’attribuita tavoletta bifronte, acquistata nel 2006 da Christie’s con un “Ecce Homo” e una “Madonna con Bambino e francescano” ).
La realizzazione del nuovo Museo fu avviata nel 1985, a seguito dell’appalto concorso del 1983, con fondi regionali affidati al Comune di Messina quale Stazione Appaltante, attraverso tre lotti conclusi nel 1994 per un importo di quasi 8 milioni di euro. A partire dal 1995, anno di consegna definitiva dell’immobile all’Assessorato Regionale ai Beni Culturali, sono stati avviati con finanziamenti regionali e con fondi strutturali dell’Unione Europea, lavori di rimodulazione degli spazi interni e di realizzazione di dotazioni e strutture espositive per un costo complessivo di un milione 200mila euro. Altri avori per mettere a norma l’edificio, con un finanziamento europeo di un milione 988mila euro furono avviati nel 2014 e conclusi nel 2015. Nel 2016 sono stati impegnati circa 428mila euro per la definizione dell’allestimento e degli impianti e per l’adeguamento dei percorsi di accesso. Costo complessivo 11milioni e mezzo di euro. Da adesso servono altre risorse, regionali e nazionali, per la costosissima gestione fino a quando il Polo museale non riuscirà ad innescare esso stesso meccanismi virtuosi nei flussi di entrata.