Hanno alzato muri, riversato terra e sangue, alzato barriere. Per negare ciò che non era possibile negare: quel mare che apparteneva all’anima di Palermo. Hanno tagliato le radici, squalificando il territorio, togliendo l’identità ai mandamenti della città ma soprattutto ai borghi. Azzerando socialità, abitudini, interi settori economici. Si è detto tante volte del sacco di Palermo che ha massacrato le ville liberty, si è detto poche volte di come «i famelici» come li ha definiti la giornalista e scrittrice Giuliana Saladino hanno alzato barriere con il mare diventato pozzanghera flautolenta per colpa soprattutto di quel fiume, l’Oreto, che trascina a mare la puzza di speculazione e di mafia. Hanno provato a cancellare anche il mare che, però, è lì e resta «memoria viva». E “Mare, memoria viva” si chiama l’ecomuseo recentemente inaugurato a Palermo: si tratta del primo ecomuseo in contesto urbano del Sud. Una struttura nata grazie agli accordi con la Soprintendenza del mare e con l’assessorato alla Cultura del comune di Palermo ma soprattutto grazie al finanziamento della Fondazione con il Sud di cui è presidente Carlo Borgomeo che ha finanziato il progetto presentato da Clac, organizzazione culturale creata a Palermo nel 2003 da Cristina Alga e Filippo Pistoia, nel 2011 nell’ambito del bando storico-artistico del 2011 della Fondazione. L’ecomuseo ha due sedi: una parte si trova nei locali dell’Arsenale della Regia Marina ma l’allestimento più significativo è quello ospitato nell’ex Deposito delle locomotive di Sant’Erasmo, struttura del Comune che si trova nella zona Sud della città, sulla via che porta a Brancaccio. In due anni sono stati investiti 500mila euro (la gran parte provenienti dalla Fondazione) e vi hanno lavorato una settantina di persone e ne è venuta fuori una struttura che racconta il rapporto di Palermo con il mare e molto della città che c’era e della città che c’è. «I materiale dell’ecomuseo – spiega Cristina – sono stati raccolti nei quartieri della fascia costiera della città, incontrando e intervistando gli abitanti e la gente di mare, mappando i luoghi significativi del territorio, raccogliendo storie, fotografie, video e ricette».
Si tratta di un «progetto – dice Borgomeo – che è la testimonianza concreta che l’amore per la propria terra è il primo passo per creare occasioni di sviluppo al Sud. Poi ve ne sono naturalmente altri. I giovani palermitani di Clac sono riusciti a immaginare e poi concretizzare una idea bella e affascinante come quella di restituire il mare alla città e con esso la sua memoria e il senso vero di una comunità. E attraverso questa leva e un meticoloso e lungo lavoro di dialogo con il territorio per ricucire i legami sociali si è determinato un moto di riscoperta collettiva e di partecipazione attorno a un grande patrimonio sociale e culturale sul quale innestare processi di sviluppo, attivando percorsi di turismo. Il tratto distintivo di Mare Memoria Viva sta proprio nella grande capacità di fare rete, di mettere insieme il mondo della cultura, del non profit, delle istituzioni pubbliche e del privato sociale che, nei fatti, hanno collaborato e lavorato insieme per un obiettivo condiviso, il bene comune. L’esperienza di questo progetto, inoltre, contraddice lo stereotipo di una pubblica amministrazione poco flessibile e attenta a questi temi».
Forte la spinta di innovazione sociale, che punta a ravvivare un quartiere marginale della città, ma anche quella l’innovazione applicata agli allestimenti che si caratterizzano, appunto, per alcuni aspetti innovativi: l’uso delle tecnologie per restituire alla comunità e valorizzare le storie locali; l’uso dell’arte e della creatività come strumenti di coinvolgimento degli abitanti; la sperimentazione di pratiche di gestione partecipata del patrimonio culturale. «Per noi – dice l’assessore alla Cultura della Comune di Palermo Francesco Giambrone – questa struttura ha un valore strategico. Intanto perché siamo riusciti a riappropriarci di una struttura, restaurata con fondi pubblici, che era stata negli anni scorsi consegnata ai privati che ne l’avevano trasformata in discoteca. Poi perché grazie a questo intervento pensiamo che sia possibile ridare vitalità a una zona della città molto problematica. Un po’ come stiamo facendo ai Cantieri culturali della Zisa dove, grazie alle collaborazioni con privati e istituzioni cittadine, stiamo progettando e presto inaugureremo il primo incubatore per imprese culturali della città. Siamo stati bravi a non lasciarci sfuggire l’occasione di collaborare con questi giovani e così l’ecomuseo diventa il simbolo di una buona collaborazione tra pubblico e privato. Ma tutto ciò ha un senso perché questa operazione è culturale, sociale, ma soprattutto economica». Clac ha già pensato al merchandising, ha avviato un percorso di crowfunding per continuare a gestire la struttura mentre più avanti sarà affidato con bando la gestione della ristorazione. E intanto il quartiere comincia ad avvertire i primi benefici. Economia sana e pulita che toglie terreno al malaffare e all’economia di rapina che a Palermo. Ed è già una piccola vittoria.
Palermo, l'ecomuseo restituisce il mare alla città
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