Con l’introduzione delle nuove norme sulla cosiddetta “presunzione d’innocenza rafforzata”, il lavoro dei cronisti sta incontrando ostacoli e difficoltà. Le nuove regole, che riguardano le procure e gli organismi investigativi, prevedono che la diffusione delle informazioni sui procedimenti e sugli atti di indagine avvenga solo attraverso note scritte e conferenze stampa. Le informazioni possono essere poi pubblicate dopo una valutazione del magistrato sulla sussistenza di un «pubblico interesse» e solo se la divulgazione «risulti strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini».
L’applicazione di queste norme sta provocando effetti molto gravi sul diritto di cronaca che è anche un dovere professionale dei giornalisti. Nel timore di sanzioni, anche disciplinari, le fonti sono sempre più restie a mantenere rapporti con la stampa e perfino a fornire elementi essenziali per la cronaca e di sicuro interesse pubblico come, per esempio, i nomi delle persone arrestate. Ne consegue che dietro il principio indiscutibile della presunzione di innocenza si finisca per applicare in forma surrettizia una vera e propria censura preventiva per il lavoro dei cronisti.
Le nuove norme sottraggono infatti ai cronisti il compito di valutare autonomamente la rilevanza pubblica di una notizia trasferendo alle procure il potere di stabilire cosa può essere pubblicato, in che forma, con quale rilievo e con quali elementi informativi. Non c’era mai stato un intervento così pesante sulle libertà di una professione che con grande senso di responsabilità aveva già accolto nelle norme deontologiche i principi essenziali della presunzione di innocenza. Non c’era quindi alcun bisogno di introdurre una forma di tutela «rafforzata» che, nei fatti, si traduce in un intralcio immotivato alla buona informazione. Non è certo la riduzione dell’informazione, che peraltro tocca atti non più secretati, a evitare gogne mediatiche oppure a indicare gli indagati come colpevoli.
La dimensione burocratica delle nuove regole è dimostrata dal divieto di attribuire alle inchieste e alle operazioni di polizia giudiziaria denominazioni considerate «lesive della presunzione di innocenza». Al loro posto si utilizzeranno quindi riferimenti tecnici come il numero del fascicolo di indagine. Per l’informazione si prospetta quindi anche una “ingessatura” linguistica.
È indubbio che tutto questo è un segno dell’ostilità con cui si guarda a un’informazione corretta e completa. Tutto questo rende concreta l’eventualità che tra giornalisti, magistrati e operatori di polizia giudiziaria si possano aprire canali di scambio occulti e che venga indebolita, come è stato paventato, la funzione di controllo della stampa sull’attività delle pubbliche autorità.
Il consiglio dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia valuta con preoccupazione la deriva innescata dalla nuova disciplina dei rapporti tra la stampa e la giustizia. Decide quindi di promuovere tutte le iniziative necessarie, anche in raccordo con il consiglio nazionale dell’Ordine, perché i rapporti con le fonti tornino a essere impostati su un giusto bilanciamento tra due fondamentali principi costituzionali: la libertà di stampa e la presunzione di innocenza.