La recente sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del marzo 2015 ha affermato la legittimità della riforma dell’ente intermedio delle Regioni a statuto ordinario più comunemente conosciuta con il nome di “legge Delrio”. Alcuni dei principi ivi contenuti incidono certamente anche sul completamento della riforma in corso nella Regione Siciliana. La Corte Costituzionale, facendo salva l’elezione di 2° grado degli organi di governo e confermando alcuni suoi precedenti in materia, ritiene infondata la paventata lesione della sovranità popolare quale elemento costitutivo dell’ente locale Provincia. Se, quindi, l’elezione indiretta degli organi dell’ente intermedio è legittima per un ente territoriale di governo costitutivo della Repubblica ai sensi dell’art. 114 Cost. qual’ è la Provincia, a maggior ragione lo sarà per i costituenti liberi Consorzi di comuni siciliani che sono solamente enti strumentali dei Comuni. Un altro aspetto affrontato dal Giudice delle leggi, ancorchè incidentalmente, concerne la istituzione delle Città metropolitane. La Corte ha infatti statuito che questo nuovo ente locale trova copertura costituzionale nel citato art. 114 e che la legge Delrio costituisce principio di grande riforma economica e sociale per le Regioni a statuto speciale, ai sensi del comma 5, ultimo periodo, dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014. Ne discende, per l’ordinamento siciliano, che l’istituzione delle tre Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina, ancorchè non espressamente prevista dallo Statuto siciliano, troverebbe ancoraggio nell’art. 114 della Costituzione in forza della “clausola di maggior favore” contenuta nell’art. 10 della l. cost. 3/2001, secondo la quale, fino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della riforma del titolo V° Cost. si applicano non solo alle Regioni ordinarie, ma, nelle parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite alle Regioni speciali (e alle Province autonome), valgono anche per queste ultime. Un terzo effetto collaterale della sentenza della Corte Cost. inciderebbe invece negativamente sul processo legislativo in corso. La Corte, infatti, ha escluso la natura giuridica di ente locale per le consorelle Unioni di comuni, ritenendo impropria l’autodefinizione contenuta nel comma 4 dell’art. 1 della legge n. 56/2014. Questo aspetto non è da sottovalutare, poiché il completamento della riforma dell’ente intermedio siciliano rispetta solo formalmente l’art. 15 dello Statuto siciliano, prevedendo la costituzione di liberi Consorzi di comuni che, in disparte il contestato grado di autonomia nell’autodeterminazione e nella scelta del Consorzio di comuni, si configurano dei veri e propri enti territoriali di governo, per alcuni versi anche di consistenza maggiore delle soppresse Province regionali. Il ddl in corso di approvazione all’ARS prevede infatti l’attribuzione ai Consorzi di comuni di funzioni amministrative aggiuntive rispetto a quelle già esercitate dalle Province regionali in forza della l.r. n. 9/86. Ma vi è di più, i futuri Consorzi di comuni potranno anche gestire i servizi integrati in materia di risorse idriche e di rifiuti. Quindi dei “super” Consorzi sia di funzioni, che di servizi a rilevanza economica, riconducibili all’area vasta. Pertanto, non solo l’esatto contrario dello “svuotamento” operato dalle legge Delrio per le moribonde Province delle Regioni a statuto ordinario, ma, nei fatti, l’attribuzione di tali e tante funzioni amministrative che richiederebbero quella terza gamba di autonomia (politica) di cui i liberi Consorzi di comuni risultano notoriamente sprovvisti, essendo dotati solo dell’autonomia amministrativa e finanziaria. Per concludere, ed alla luce di quanto statuito dalla Corte Costituzionale, dubitiamo che un ente consortile, ovvero strumentale, come il libero Consorzio di comuni possa svolgere funzioni tipiche dell’ente territoriale di governo senza violare lo spirito dell’art. 15 dello Statuto siciliano. Se la riforma in salsa siciliana dell’ente intermedio si doveva ridurre nella sola introduzione dell’elezione indiretta degli organi di governo, bastava molto più semplicemente emendare la preesistente legge 9/96.