Meritocrazia, diritti, efficienza, restano ancora una volta parole in libertà, svuotate di significato. Ben altre sono quelle che evocano le dinamiche che stanno accompagnando il riordino degli assetti organizzativi dei Dipartimenti regionali. Il caos regna sovrano con dirigenti generali che non rispettano la tempistica dettata dalla norma, dirigenti ad oggi senza incarico, parcheggiati in attesa di collocazione, uffici paralizzati, discrezionalità a scapito di valutazioni oggettive di competenze e curricula, svilimento totale del valore della selezione pubblica. Non tutti ci stanno ad assistere indifferenti al solito copione e non ci sta il dirigente regionale che abbiamo incontrato, collocato in quel sistema che resiste a qualsiasi urto o ventata di novità e che adesso si augura un intervento degli organi inquirenti. E partiamo con una legge, la 9/2015 e l’articolo 49 che dice che entro il 30 Giugno l’Amministrazione regionale aveva l’obbligo di procedere ad una ristrutturazione che prevede un taglio almeno del 30% delle strutture intermedie (aree e servizi) e di base (unità operative). E qui subito la prima anomalia evidenziata dal nostro funzionario: i Dirigenti generali avrebbero dovuto risolvere unilateralmente il contratto a tutti i dirigenti dei rispettivi Dipartimenti solo all’esito del nuovo riassetto invece, al primo luglio, data di pubblicazione sulla Gurs del Regolamento di riorganizzazione (DPRS 12/2016) le procedure erano state avviate con il conferimento dei nuovi incarichi con semplici note formali. Per l’avvio quindi degli atti di interpello i posti vacanti sono stati individuati in anticipo mentre alcuni Dirigenti generali ne hanno addirittura esclusi alcuni dalle richieste. La maggior parte dei dirigenti generali ha confermato, ove possibile, i dirigenti già responsabili di quelle strutture, con evidente danno di chi si è trovato casualmente ad essere “perdente posto” a causa della soppressione della propria struttura nel nuovo funzionigramma. Non sono stati comparati i curricula né è stata fatta una seria valutazione perché se si fossero fatte si sarebbe scoperto che solo pochissimi dirigenti risultano vincitori di un pubblico concorso per esami, indetto dalla Presidenza della Regione Siciliana, altri provengono dai ruoli statali, alcuni poi, in via di esaurimento, sono stati assunti attraverso cooperative, altri dall’Assessorato Agricoltura, assunti tramite corso – concorso, alcuni dopo il conseguimento di una semplice borsa di studio o il superamento di corsi fenomeno che ha interessato in particolare il Dipartimento dei Beni culturali. Altro elemento curioso è che la maggior parte dei dirigenti hanno avuto accesso all’amministrazione regionale dai Geni Civili, in virtù di un colloquio e una prova scritta, da dove è scaturito un contratto a tempo determinato per un biennio, per smaltire le pratiche di sanatoria edilizia. Con la legge regionale 11/1990, questi contratti però si sono trasformati a tempo indeterminato, trattamento che è stato esteso anche agli idonei (praticamente tutti) per cui a settembre 1993 sono stati assunti circa 700 dirigenti senza alcuna selezione pubblica. Il Commissario dello Stato pro tempore aveva impugnato la norma dinanzi alla Corte Costituzionale, ma il Governo Regionale rispose che “la disposta assunzione avverrebbe fuori ruolo, in una condizione cioè di avventiziato, destinata ad aver termine con la cessazione dei bisogni di personale che l’ha determinata…..” A distanza di 26 anni però quei dirigenti sono ancora in servizio. Questo modus operandi- dice il dirigente- dettato probabilmente più da prassi clientelari che da reali esigenze organizzative, ha precluso il diritto alla carriera a tutti i dirigenti regionali e non ha permesso ai giovani professionisti siciliani di partecipare ad alcuna selezione pubblica, condannando l’Amministrazione Regionale ad un eterno lamentato esubero, sbandierato quasi quotidianamente dalla stampa, senza mai andare però alle origini del problema, che ha spinto a questa riorganizzazione che vuole la soppressione del 30% delle strutture dirigenziali. E arriviamo ad un’altra anomalia: l’art. 5 della legge regionale 10/2000 inquadrava gli allora Dirigenti Superiori in prima e seconda fascia, come per gli statali, ma inventava una terza fascia, nella quale venivano inquadrati tutti gli altri dirigenti, compresi quelli già collocati nei ruoli soprannumerari, concedendo la “patente” di dirigenti a tutti i tecnici entrati esclusivamente per smaltire le pratiche di sanatoria edilizia. La terza fascia avrebbe dovuto avere carattere transitorio, ad esaurimento, e nella stessa legge era previsto un concorso selettivo per accedere alla seconda fascia. Tale concorso non è stato mai bandito, e la terza fascia ha assunto carattere definitivo, a danno soprattutto degli unici dirigenti vincitori di regolare concorso, i quali sarebbero dovuti essere inquadrati immediatamente in seconda fascia, senza previsione per essi di un concorso apposito, avendolo già vinto, e comunque avere almeno la precedenza nell’assegnazione di incarichi dirigenziali. Ulteriore beffa è che hanno avuto accesso alla dirigenza regionale altri dirigenti provenienti da enti provinciali soppressi, (entrati senza aver sostenuto alcun concorso) i quali sono stati inquadrati in seconda fascia, essendo la terza transitoria e ad esaurimento. La Regione Sicilia quindi, forse unico caso in Italia, si è dotata della maggior parte del proprio personale dirigente senza espletare un concorso pubblico. Prassi che il Governo nazionale ancora una volta stigmatizza, anche se indirettamente, con l’impugnativa dello scorso 14 luglio. La legge regionale attenzionata è la 8/2016, art. 31, che prevede per il conferimento di incarichi dirigenziali, l’utilizzo dei “ dirigenti equiparati” del personale ex Italter e Sirap. Il Governo nazionale sostiene che tale personale è equiparato solo ai fini economici e che allo stesso non possono applicarsi “quei meccanismi di inquadramento e di sviluppo di carriera che presuppongono l’appartenenza ai ruoli regionali..” a cui si accede solo per concorso pubblico come statuisce chiaramente la Costituzione. Il dirigente che ci ha reso noti i retroscena di questa riorganizzazione evidenzia una totale sconfitta della meritocrazia e del persistere dei soliti e ormai intollerabili giochi con il politico di turno che si vanta di aver messo tizio a capo di quella struttura, un altro sbandiera il nome del nuovo capo di un importante servizio senza che le nomine si siano ancora effettuate, c’è chi viene messo al vertice di una struttura intermedia essendo stato assunto tramite una legge sulle cooperative, altro, tecnico della sanatoria, che scalza il suo predecessore regolarmente vincitore di concorso, altri che vengono confermati dopo otto o nove anni di direzione della stessa struttura, in barba al principio della rotazione, caposaldo del tanto sbandierato Piano Anticorruzione.
Riordino della burocrazia regionale in Sicilia. Non conta il merito, non conta il diritto…
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