CATANIA – Una volta confiscati alla mafia, i beni che fine fanno? Qual è la destinazione più efficace, la più “sana”, la più proficua per la società e l’economia? E come gestire patrimoni illegali che, in mano allo Stato, possono diventare concrete risorse per il territorio? Questi i principali interrogativi sollevati questa mattina (17 maggio) in occasione del convegno di studi sul tema dei beni confiscati alla malavita e sulla possibilità di “investirli” a supporto del Microcredito.
Accesso al credito: questo l’ostacolo che il disegno di legge di modifica del Testo unico antimafia – presentato ufficialmente oggi – intende superare avanzando una proposta: prevedere e autorizzare l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) a prestare garanzia vincolando uno o più beni in relazione alla loro ubicazione per Regione, stabilendo così la destinazione territoriale della concessione del finanziamento. Per concedere, dunque, una boccata di ossigeno a quelle stesse aree vittime della gestione criminale: depauperate, svilite, umiliate. Soprattutto alle imprese confiscate, che subito dopo il sequestro entrano nel vortice del rischio fallimento, come sottolineato dal procuratore di Catania Giovanni Salvi e dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati sez. Catania Pasquale Pacifico: «I tempi di sopravvivenza di queste aziende subito dopo il sequestro giudiziario sono brevissimi, con il rischio tangibile di uscire dal mercato in pochi giorni se non supportate a dovere e guidate con strumenti idonei» ha commentato Salvi. «Supporto ad oggi quasi inesistente, perché viene loro negato l’accesso al credito dalle banche – ha affermato Pacifico – il problema reale non è aggredire i patrimoni nelle mani della mafia (lavoro egregiamente portato avanti dalle autorità preposte) ma saperli gestire rispettando i canoni di efficienza e trasparenza». Dunque confiscare e garantire non basta, servono organizzazione e direttive precise da seguire per operare realmente “secondo giustizia”: su queste premesse poggia l’auspicio del presidente del Tribunale di Catania Bruno Di Marco «di costituire quanto prima un tavolo tecnico che riunisca le principali leve del contesto, forze dell’ordine e istituzioni in primis, per strutturare l’impiego dei beni confiscati e indirizzarli nella giusta direzione». Un centro operativo che contribuisca a mettere in atto proposte come quella della modifica del Testo Unico antimafia (d.Lgs 159/2011), che è stata introdotta dal magistrato e presidente Lions Club Acireale Pietro Antonio Currò: «È una proposta che per genesi, contenuti e modalità – ha affermato Currò – poggia sulla legalità come valore di sviluppo sociale ed economico, nonché sulla sussidiarietà come punto di forza per il sostegno di realtà bisognose. Una società solidale è una società solida». Ad esporre i dettagli è stato l’economista, Immediato Past Governatore Distretto Lions 108 YB e presidente dell’associazione Amici dell’Università di Catania Antonio Pogliese, puntualizzando che «in Italia il microcredito non è mai davvero decollato, basti pensare che nel 2012 sono state avviate 2mila pratiche per l’importo totale di 63 milioni. La principale causa di insuccesso – ha continuato Pogliese – è da ricercarsi nell’assenza delle garanzie, in tale forma di credito, così come disposto dalle richiamate disposizioni di legge». Riprendendo quanto sottolineato da Di Marco, Pogliese ha specificato uno dei punti-chiave della proposta: «Prevedere la costituzione di una commissione per stabilire i criteri per la graduatoria degli aventi diritto al microcredito, le relative condizioni, la gestione dei crediti deteriorati che i singoli Istituti di credito devono cedere all’Anbsc contestualmente all’escussione della fideiussione pari al 70%, quale valore massimo dell’originario credito erogato».
Quella di oggi è stata definita dal presidente Commissione antimafia dell’Ars Nello Musumeci «Una denuncia, più che una proposta. Oggi lo Stato – ha affermato – nelle sue articolazioni, ha dimostrato incapacità di gestione. La costituzione dell’Agenzia – peraltro avvenuta con grande ritardo – non ha dato i risultati sperati, non riuscendo a (inter)connettersi con il territorio e i suoi attori. I beni confiscati in Sicilia sono il 36,5% di quelli nazionali: perché non rendere utile questo patrimonio?». Un impegno che assume anche il valore di “remissione”, di conversione che porta alla comprensione, come affermato dall’arcivescovo metropolita di Catania Mons. Salvatore Gristina, nel suo saluto. «Occorrono sinergie e collaborazioni tra tutti gli attori della filiera antimafia – ha concluso il Magnifico Rettore Giacomo Pignataro – il nostro territorio è vivace e spinto all’imprenditorialità, soprattutto dai giovani: cercare nuovi sistemi per supportare le start up è l’obiettivo che dobbiamo porci per rilanciare l’economia pulita».
A dare i loro contributi e valutazioni nel corso del convegno sono stati anche: il presidente di sezione di Corte d’appello Pietro Zappia, il vicepresidente vicario di Confindustria Catania Antonello Biriaco, il presidente della Fondazione fra Club Lions Distretto Sicilia Antonio Sardo, l’assessore alla “Trasparenza e Legalità” del Comune di Catania Rosario D’agata. A seguire la tavola rotonda cui hanno preso parte: il segretario Presidenza Commissione nazionale antimafia Angelo Attaguile, il consigliere della Corte d’Appello di Milano (Misure di prevenzione) Pietro Caccialanza; il presidente Tribunale Misure di prevenzione di Catania Rosario Cuteri; l’ordinario di Diritto penale dell’Università di Catania Giovanni Grasso; l’Ordinario di Psicologia sociale dell’Università di Catania Orazio Licciardello; l’Ordinario di Economia Politica Università di Ancona Luca Papi; il procuratore aggiunto Procura della Repubblica di Catania Michelangelo Patanè.