La vittoria del No al referendum costituzionale in Sicilia è stata, al pari della Sardegna, anche più larga che nel resto d’Italia. Un voto che per il segretario generale della Cisl Sicilia Mimmo Milazzo, durante un forum con l’ITALPRESS, si può interpretare come “di protesta, perchè i siciliani hanno bisogno di una svolta sul piano del lavoro, delle opere annunciate e non realizzate, delle infrastrutture, dell’industria”.
“Il dato elettorale va accettato per quello che è. È pur vero che dalle cose illustrate nei patti per la Sicilia e le città metropolitane di Palermo, Messina e Catania sembrava che i cantieri fossero pronti a partire, cosa che non si è verificata – ha sottolineato Milazzo -. La gente ha bisogno di una svolta con il lavoro reale. Molte cose annunciate non sono state fatte. È un voto di protesta anche abbastanza ampio. C’è bisogno di risposte immediate sul lavoro e sul campo sociale. Il ceto medio si è impoverito e di conseguenza è aumentata la fragilità economica delle famiglie, la loro povertà è cresciuta a dismisura – ha sottolineato il segretario -. La logistica in Sicilia quasi non esiste e anche se l’isola è cresciuta di più che nel resto d’Italia è un effetto di trascinamento dell’utilizzo dei fondi europei ma se non parte la nuova programmazione ci sarà un rallentamento. Bisogna varare le infrastrutture che mancano e che daranno risposte sul fronte occupazionale” e “mettere in rete gli aeroporti, Palermo con Birgi e Catania con Comiso”. Anche perchè “gli ultimi dati Istat confermano che in Sicilia l’aumento occupazionale è di circa 25 mila unità, poca cosa rispetto alle esigenze della popolazione dell’isola. Basti pensare che il rapporto medio dei lavoratori in Italia è di uno ogni due, in Sicilia uno a quattro”, senza dimenticare le tasse che “sono troppo elevate”, con “un’evasione fiscale altissima”, tanto che “avevamo presentato una proposta di legge per ridurre il cuneo fiscale e le aliquote dei lavoratori”.
“Manca una visione d’insieme – ha affermato Milazzo -, il settore industriale in Sicilia è stato declinato dall’agenda politica regionale, non si può continuare a vivere di pubblico impiego e partecipate. Quello è un segmento saturo e non può più essere sviluppato. Bisogna puntare sulle infrastrutture non solo nei settori dell’agroalimentare e del turismo ma anche nell’industria”. In questa direzione “il governo Crocetta ha fallito i propri obiettivi. Ha destrutturato una serie di sistemi senza costruire nulla. All’epoca abbiamo fatto una scelta (di accogliere positivamente l’esperienza del governo Crocetta, ndr) ma siamo rimasti delusi dai comportamenti. Ce ne siamo pentiti? Diciamo che analizzando i fatti non ci siamo trovati più in linea. Ogni anno emigrano migliaia di giovani laureati e la regione si sta impoverendo sul piano occupazionale, produttivo e culturale”. Cosa fare, allora, per contrastare gli alti livelli di povertà in Sicilia? “Bisogna innanzitutto far funzionare le norme nazionali. E poi bisogna puntare alla semplificazione dei procedimenti amministrativi, alla sburocratizzazione del sistema Sicilia. Non si possono avere tempi biblici per avere una concessione. È indispensabile altrimenti qui non viene a investire nessuno, perché in altri paesi europei bastano tre giorni, qui ci vogliono tre anni e nel frattempo cambia anche il contesto storico. E poi serve un decentramento delle funzioni verso le città metropolitane e i liberi consorzi”.
Due le vertenze che in questo momento preoccupano particolarmente la Cisl: i precari e Almaviva. Sui precari “bisogna trovare gli strumenti per evitare che ogni anno ci sia questa scadenza che crea angosce nelle famiglie. Il voto di protesta arriva anche dall’incertezza del futuro”. Quanto ai call center, “sono la più grande infrastruttura industriale in Sicilia con 18 mila dipendenti. Spesso questo aspetto viene sottovalutato dal governo regionale che è stato poco incisivo sul versante nazionale. È necessario un riordino, una legge di settore per i call center perché non possiamo continuare a delocalizzare tagliando le assunzioni. È un sistema che va disciplinato meglio soprattutto quando si perdono le commesse. Quando ci sono le gare l’azienda che subentra non può sempre tagliare i salari. Chiediamo un intervento al governo che verrà”.
Milazzo non piazza alcuna bandiera politica sul prossimo governo regionale (“noi guardiamo ai programmi dei partiti e delle coalizioni, guardiamo al merito”) e sull’identikit del futuro presidente della Regione non si sbilancia: “È presto, è una fase ancora embrionale e non ci sono candidati. Le danze si apriranno da gennaio in poi. Dialoghiamo con le forze politiche che devono scegliere le persone giuste per governare il sistema Sicilia che rischia di deragliare perché siamo l’ultima regione in termini di povertà assoluta”. Per Milazzo il prossimo governo dovrà “pensare ad una strategia che metta la Sicilia al centro di una programmazione che guardi al futuro. Si deve rendere fruibile la spesa pubblica, quando si usano i fondi europei non si può pensare alle piccole clientele. Il dato occupazionale è drammatico, la politica come fa a non rendersi conto di queste cose? In Sicilia da decenni c’è la patologia di commissariare tutto accentrando il potere ma questo non produce uno scatto in avanti sul piano occupazionale e reddituale delle famiglie, anzi, il ceto medio si è impoverito ancora di più e aumentano i risparmi perché la gente si preoccupa del futuro”.
Su un possibile governo siciliano del M5S: “Non siamo preoccupati né tantomeno ci sentiamo minacciati. Siamo soggetti sociali che interagiscono e discutono con chi viene democraticamente eletto. Qualunque sia il governo che verrà a noi interessa il programma di governo, incidere su un percorso che restituisca dignità ai lavoratori siciliani e creare i presupposti indispensabili per costruire il lavoro”. “Il dato occupazionale in Sicilia è drammatico – ha concluso Milazzo -, in Italia la disoccupazione media è del 21,8 / 21,9, nell’isola la disoccupazione media è al 56 per cento con punte di 60 per quella giovanile. Dati drammatici che fanno tremare i polsi. Serve un piano organico di sviluppo del sistema infrastrutturale e industriale della Sicilia. Servono incentivi per gli imprenditori, perché se ci sono le imprese ci sono i lavoratori: l’industria siciliana è morta, non ci sono industriali siciliani che investono qui. Se non attraiamo investimenti il nostro destino è segnato, ci resteranno solo agricoltura e turismo”.