Last updated on 8 agosto 2019
Una nuova ricerca ha individuato una serie di vulcani a pochi chilometri dalle coste della Sicilia sud-occidentale. I vulcani sono stati scoperti nel corso di due campagne geofisiche condotte a bordo della nave da ricerca Ogs Explora.
I vulcani individuati si trovano circa 14 chilometri a nord di quelli già noti del Banco Graham. Qui è presente la famosa Ferdinandea, la cui eruzione sottomarina del 1831 portò alla formazione di un’isola che crebbe fino a 65 metri di altezza, e la cui sommità oggi giace a circa 7 metri sotto la superficie del mare.
Grazie alle mappe batimetriche ad alta risoluzione e alle prospezioni sismiche e magnetiche, i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) hanno ricostruito in dettaglio la morfologia del fondo marino, individuando per la prima volta tre vulcani e confermando le precedenti ipotesi riguardo all’esistenza di altri tre.
“Tutti i vulcani che abbiamo rilevato sono localizzati entro 22 chilometri dalle coste della Sicilia; uno in particolare si trova a soli 7 km da Capo Granitola” spiega Emanuele Lodolo, ricercatore di Ogs.
I vulcani si trovano a profondità tra 180 e 80 metri e il loro diametro varia da circa 400 a 1200 metri. “Il vulcano più vicino alle coste (chiamato Actea) mostra una morfologia complessa e lungo il suo fianco occidentale presenta un importante flusso lavico che si estende per oltre 4 chilometri”, precisa Lodolo. Le dimensioni di questa colata sono paragonabili a quelle di grandi apparati vulcanici e rappresentano un unicum nel quadro del magmatismo di questo settore del Canale di Sicilia.
I dati risalgono alle indagini effettuate nell’agosto 2017 e febbraio 2018 nel corso del progetto di ricerca “Fastmit”, coordinato dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – Ogs di Trieste, e finanziato dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
“L’analisi suggerisce che i sei vulcani identificati sono stati generati durante la stessa fase magmatica precedente all’ultimo massimo glaciale, circa 20000 anni fa”, spiega Dario Civile, ricercatore Ogs che ha collaborato allo studio. Solo il vulcano Actea mostra indicazioni di una riattivazione più recente, probabilmente successiva alla risalita globale del livello del mare in seguito all’ultima deglaciazione.
“Dobbiamo sottolineare che nessuno di questi edifici vulcanici era stato precedentemente riportato né nelle carte nautiche comunemente utilizzate, né nelle mappe batimetriche sinora disponibili – spiega Dario Civile – La scoperta di vulcani sommersi così vicini alla costa della Sicilia dimostra che ci sono ampie aree sommerse vicino al litorale che sono ancora poco conosciute e studiate, nonostante siano state attraversate, sin dai tempi più remoti, da innumerevoli imbarcazioni di ogni tipo”.
L’Italia, con i suoi oltre 8mila chilometri di coste, più di altri Paesi si dimostra vulnerabile per effetto della sua complessità geologica e geomorfologica, e ha bisogno di un piano adeguato di mappatura e di monitoraggio dei fondali marini. Oggi le tecnologie consentono di acquisire e produrre mappe batimetriche di grande dettaglio, con risoluzioni impensabili sino a pochi decenni fa.
Si tratta di mettere in campo adeguati investimenti e programmi di mappatura e tutela delle aree costiere, che hanno importanti ricadute su un ampio spettro di attività quali la navigazione, la pesca, la gestione delle infrastrutture costiere e portuali, la difesa delle coste dagli effetti spesso devastanti di fenomeni estremi generati dai cambiamenti climatici.
Questi risultati dimostrano ancora una volta come i fondali marini sono ancora largamente sconosciuti: abbiamo infatti più informazioni sulla superficie di Marte e Venere rispetto a ciò che si nasconde sotto ai nostri mari. E ciò vale anche per i mari e gli oceani che coprono i 2/3 della superficie del pianeta Terra.
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