Secondo l’ultimo rapporto diffuso dal ministero per lo Sviluppo economico la Sicilia è presente tra le prime dieci regioni del Paese per numero di startup innovative e si piazza al nono posto con 276 startup innovative e una quota sul totale nazionale del 4,64 per cento. Anche se per poco l’Isola arriva dopo le Marche e comunque prima della Puglia. E’ un dato di fatto su cui sarebbe opportuno riflettere che va affiancato a un altro: tra le prime dieci province per presenza di startup innovative nessuna è siciliana. Il che potrebbe significare che in Sicilia il fenomeno è più diffuso nella regione e non si concentra nelle grandi aree metropolitane. Il rapporto di cui parliamo è l’ultimo in ordine di tempo (pubblicato il primo luglio 2016): sempre nella classifica della distribuzione provinciale troviamo tra le prime dieci Bari e Napoli. Non c’è Catania che pure ha mostrato una certa vitalità sul fronte della creazione di nuove imprese e in particolare startup. E non c’è ovviamente Palermo. E se raffrontiamo il dato del primo trimestre del 2016 con quello del quarto trimestre del 2015 vediamo che la situazione è veramente migliorata di poco: a fine 2015, infatti, le startup innovative in Sicilia erano 245. Ma meglio della Sicilia hanno fatto le Marche. A voler fare il rapporto tra startup innovative e numero totale di imprese la situazione siciliana non è rosea, anzi tutt’altro. E si ha piuttosto l’impressione che ci sia un ampio rumoreggiare mentre in concreto le cose non vanno per niente bene. Basti pensare, giusto per farsi un’idea, che si continua a parlare di startup di successo riferendosi a Mosaicoon, l’azienda fondata ormai sei anni fa da Ugo Parodi Giusino, che è sicuramente rappresentativa di un successo ottenuto sul campo ma a distanza di tanti anni non può certo ormai classificata tra le startup .
A voler fare un giro d’orizzonte molto lesto ci si accorge che le startup siciliane brillano in comunicazione ma non certo in fertilità: alcune di queste, nate ormai qualche anno fa, vivacchiano, sgomitano, ma restano ancora lontane dalla cosiddetta exit, cioè dall’operazione che dovrebbe consentire a chi ha fatto l’investimento di recuperare i propri soldi e semmai guadagnarci. E a voler essere onesti è pure vero che negli ultimi anni ne sono nate alcune molto interessanti ma è pur vero che si contano sulle dita delle mani: se non sono dieci, poco ci manca.
Non è il caso di essere disfattisti. In Sicilia ci sono le buone idee, ci sono anche le intelligenze giuste e ci sarebbero anche i soldi, almeno quelli pubblici dell’Unione europea e non solo: la Regione siciliana ha approvato una norma con cui apposta una decina di milioni per il finanziamento di startup e incubatori di impresa. Ma la netta sensazione è che qualcosa non vada per il verso giusto, che in verità la voglia di scommettere rimanga sempre molto bassa. E dunque che non vi sia affatto una Sicilia che vola insieme al Sud. Torniamo ai numeri che più di ogni altra cosa riescono a raccontare cosa sta succedendo. Se consideriamo la classifica elaborata dal ministero dal punto di vista della densità regionale delle startup innovative e in particolare tenendo conto del rapporto sul totale delle società di capitale presenti nella regione troviamo la Sicilia messa maluccio con lo 0,30% mentre fa peggio la Puglia con lo 0,27%. Se guardiamo questa classifica vediamo che al primo posto in Italia si piazza il piccolo Trentino Alto Adige con un rapporto tra startup innovative e società di capitali pari all’uno per cento (in pratica 100 startup innovative ogni 10mila società di capitali) mentre nel resto del paese nessuna regione va oltre lo 0,80% e la pur ricchissima e prima Lombardia si ferma allo 0,40 per cento (40 startup innovative ogni 10mila società di capitali) ma sappiamo bene che la condizione della regione è particolarissima.
La verità nel suo complesso e in particolare in Sicilia è che l’innovazione rischia di essere un fenomeno effimero, ancora una volta dopato da condizioni legislative e fiscali favorevoli, pronto a dissolversi nel caso in cui il contesto normativo dovesse mutare.
L’Isola non attrae capitali
C’è un altro aspetto che non va sottovalutato. Ed è quello dell’attrattività del territorio. Lo si può vedere leggendo con attenzione i dati diffusi all’inizio di luglio di quest’anno dall’Aifi, l’associazione italiana del venture capital, private equity e private debt e pubblicati dal quotidiano il Sole 24Ore: 36 dei 185 milioni di investimenti in capitale di rischio per favorire la creazione di startup innovative dal 2013 al 2015 sono andati alla Sardegna (il 20% circa del totale). Persino la Calabria è riuscita ad attrarre 4 milioni. Non è certamente un caso che la Sardegna sia così attiva: «Il sostegno all’innovazione – ha spiegato l’assessore regionale all’Industria Maria Grazia Piras – è uno dei tratti distintivi della nostra regione. Una delle iniziative più recenti è stata la creazione, finanziata con risorse Ue 2014-2020, di un fondo di venture capital per finanziare da 150mila fino a un massimo di un milione di euro». Il tutto con una logica da fondo privato, senza grandi complicazioni, sulla base della valutazione del business plan. Uno strumento attivo da aprile i cui beneficiari sono le startup innovative che operano in Sardegna «con un particolare focus sull’Ict e sull’agroalimentare, fiori all’occhiello della nostra economia – dice l’assessore -. La dotazione iniziale è di 10 milioni di euro ma siamo pronti ad aumentarla se necessario». Se guardiamo alla Sicilia vediamo che è stata approvata dall’Assemblea regionale una norma che stanzia per le startup, per gli incubatori e per le imprese in restart (in fase di riavvio dopo una crisi) 10 milioni ma a una prima lettura la norma appare farraginosa e tagliata su misura per strutture esistenti. Si vedrà visto che tutto è demandato a un bando a sportello. In ogni caso la differenza con la Regione Sardegna salta agli occhi: mentre i sardi scelgono uno strumento leggero e veloce per finanziare le startup (oggi e non tra un anno), la Sicilia si affida a una norma evitando di intervenire strutturalmente per trasformare e potenziare il ruolo di Sviluppo Italia Sicilia, società in house che avrebbe potuto gestire i fondi anche con altri sistemi.
Non si può poi dare torto a chi sceglie di andarsene dopo aver tanto lottato per portare avanti la propria startup o a chi, e sono parecchi, sceglie la Sicilia come sede legale (non sia mai esce un bando utile) e continua a mantenere altrove la sede operativa perché in altre regioni è riuscito a trovare quell’ecosistema favorevole che qui non c’è.
(Continua)