PALERMO. Alla Regione siciliana costano tra i 4 e i 5 milioni di euro all’anno. Sono ex minatori, idraulici, operai, impiegati. Trent’anni fa lavoravano nelle aziende pubbliche per l’estrazione dello zolfo, controllate da enti regionali, come l’Ems e l’Espi, un tempo fiori all’occhiello della “Regione imprenditrice”. Di quelle aziende non c’è più traccia, liquidate come la Sochimisi. I lavoratori però esistono ancora. In realtà non hanno alcun impiego, ma percepiscono un sussidio dalla Regione siciliana, grazie a un fondo creato nel 1975: le loro buste paga variano dai 1.200 ai 1.700 euro netti al mese. Su di loro, ne sono rimasti un centinaio, si erano spenti i riflettori. Fino a oggi.
Ora questa storia, tutta siciliana, ritorna a galla per una norma che qualche deputato ha inserito in un disegno di legge, cosiddetto omnibus o mini-finanziaria, all’esame della commissione Bilancio dell’Assemblea siciliana: si tratta di un comma di 2 righe, col quale si concedeva a queste persone di poter firmare un contratto di lavoro privato o aprire una partita Iva mantenendo però per cinque anni e non più per tre mesi il diritto a poter rientrare nel bacino del fondo, e quindi a riavere il sussidio, entro cinque anni. Al momento la norma del ’75 prevede infatti che chi trova un lavoro per più di tre mesi continuativi perde il diritto al sussidio. Una norma di nicchia per favorire qualcuno, dunque, che però è stata bocciata in commissione Affari istituzionali dell’Assemblea, da un emendamento soppressivo del capogruppo del Pid, Toto Cordaro, grazie al suo staff che ha studiato la vecchia legge. Rimane il mistero su chi sia il deputato regionale che abbia presentato il comma, rispolverando una storia che era finita in soffitta.
Gran parte di questi ex lavoratori operavano in miniere nelle province di Agrigento, Enna e Caltanissetta. La loro età media è di circa 60 anni. Se non ci fosse stata la legge Fornero, gran parte di loro sarebbe già in pensione. E invece rimangono ancorati alla mammella della Regione che ogni anno versa per il loro sussidio 4-5 milioni di euro. Gente pagata per rimanere a casa, chi lavora lo fa in nero. Solo l’anno scorso ne sono andati in pensione 38. Qualcuno, secondo quanto risulta all’ANSA, ha provato a fare il furbo: prendeva il sussidio pubblico nonostante avesse un impiego regolare. E’ stato scovato e ha restituito le somme percepite indebitamente. I controlli, nel tempo, sono diventati più rigidi: ogni anno questa platea di ex lavoratori deve certificare la propria esistenza in vita e presentare la dichiarazione dei redditi.(ANSA)