TORINO – «Non sopporto più i colleghi che si propongono come gli unici eroi che lottano per il bene, mentre tutto attorno c’è il male, loro sono una sorta di Giovanna d’Arco, alla continua denuncia dell’isolamento in cui si trovano, che peraltro non ha nulla di eccezionale, ma è una condizione tipica del nostro lavoro. Non sopporto l’andare in piazza per raccogliere firme di solidarietà». Così il procuratore della Repubblica di Torino, Armando Spataro, intervenendo ad un convegno sul rapporto tra Giustizia e informazione a palazzo di giustizia torinese.
Spataro si è scagliato contro «un certo protagonismo dei magistrati», osservando: «E’ una fortuna che sia finita l’era Mani Pulite e l’era Di Pietro. Rammento i giornalisti a frotte dietro i pubblici ministeri nei corridoi e devo dire che alla fine qualche collega era più convinto dell’importanza della notizia in prima pagina che non dell’esito del processo».
«Badate bene non sto contestando il diritto e il dovere del magistrato di intervenire nel dibattivo civile. – ha ammonito Spataro – E’ giusto che si intervenga, senza però dare alcun segnale di dipendenza o vicinanza politica. Il ministro Rognoni parlò a suo tempo di protagonismo virtuoso, che vuol dire fornire il proprio contributo di tecnico».
Poi Spataro ha fornito un catalogo di protagonismo poco virtuoso dei magistrati. C’è il caso del magistrato che ha «persino sostenuto a Palermo, dopo aver letto una sentenza che disattendeva le sue conclusioni, che se lui fosse stato un professore avrebbe dato 4 a quei giudici, dicendo che il Csm avrebbe dovuto valutare, al fine di designare il procuratore di Palermo, il grado di condivisione dei candidati dell’impostazione del processo sulla trattativa (Stato-Mafia, ndr). Mi sembra una impostazione inaccettabile» ha detto Spataro.
«Poi c’è il caso di quei pubblici ministeri che a distanza di 20 anni dall’inizio dei processi di mafia al Nord, dicono `finalmente arrivo io e indago sulle infiltrazioni di mafia al Nord´ o i continui riferimenti a entità esterne, ai poteri forti» ha elencato Spataro, secondo cui «il vizio più pesante» che affligge la categoria «è la tendenza a proporsi come moralisti o storici, come se toccasse ai magistrati moralizzare la società o ricostruire un pezzo di storia».