“La strage di Via D’Amelio pone un tema fondamentale, quello della verità nascosta, o meglio non completamente disvelata”. Lo scrivono i giudici di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza del processo sul depistaggio sulle indagini sulla strage Borsellino Il 12 luglio del 2022 il Tribunale di Caltanissetta aveva dichiarato prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. Assolto il terzo imputato, Michele Ribaudo. Il venire meno dell’aggravante ha determinato la prescrizione del reato di calunnia. A distanza di quasi dieci mesi, sono state depositate in cancelleria le motivazioni, lunghe quasi 1.434 pagine. “Il collegio ritiene che il diritto alla verità possa definirsi un fondamentale diritto della persona umana nell’ambito del quale si fondono sia la prospettiva individuale che quella collettiva”. I giudici ricordano, poi, che il procedimento “si colloca a distanza di circa 30 anni dalla strage di via D’Amelio e sconta dei limiti strutturali non oltrepassabili poiché più ci si allontana dai fatti e più è difficile recuperare il tempo perduto”.
La partecipazione di soggetti esterni a Cosa nostra
“Non vi è dubbio che le dichiarazioni di Antonino Giuffrè in ordine ai sondaggi fatti da Riina, prima di procedere agli attentati, in ambienti esterni a Cosa nostra, l’anomala tempistica della strage di Via d’Amelio, a soli 57 giorni da Capaci, la riferita presenza del terzo estraneo al momento della consegna della Fiat 126, sabato 18 luglio, la sparizione dell’agenda rossa di Borsellino, l’intercettazione tra Mario Santo Di Matteo e la moglie il 14 dicembre 1993 sugli infiltrati in via D’Amelio, sono tutti elementi che possono ritenersi univocamente orientati nel senso di certificare la necessità per soggetti esterni a Cosa nostra di intervenire per ‘alterare’ il quadro delle investigazioni evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage” scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza del processo sul depistaggio Borsellino. “In sintesi -per i giudici – movente della strage e finalità criminale di tutte le iniziative volte allo sviamento delle indagini su via D’Amelio sono intimamente connessi”.
Il ruolo del Sisde nelle indagini e l’avallo istituzionale
Il Sisde partecipò “impropriamente” alle indagini sulla strage di via D’Amelio. Lo scrivono i giudici del processo sul depistaggio Borsellino nelle motivazioni della sentenza, visionate dall’Adnkronos. “Dell’impropria partecipazione del Sisde alle indagini non era al corrente solo il procuratore Tinebra (deceduto nel 2017 ndr) ma anche il vertice dei servizi di sicurezza”. “E’ legittimo ritenere che il capo della Polizia e i vertici dei servizi segreti non potessero assumere una iniziativa così ‘extra-ordinem’ senza un minimo avallo istituzionale che non poteva che provenire dall’organo di vertice politico dell’epoca”. I giudici parlano di una “irrituale collaborazione”. L’allora Procuratore aggiunto Francesco Paolo Giordano “ha escluso di essere a conoscenza di tale collaborazione con il Sisde ma di avere visto in una sola occasione Contrada nello studio del dottor Tinebra”.
Vincenzo Scarantino, mentitore di professione
L’ex falso pentito Vincenzo Scarantino “è un mentitore di professione”. E’ un “soggetto che mente dal 1994 e che, a distanza di quasi 30 anni, ha deliberatamente deciso di continuare a offrire ricostruzioni arbitrarie, ondivaghe e false”. Ecco come i giudici del Tribunale di Caltanissetta, del processo sul depistaggio Borsellino, descrivono il falso collaboratore Scarantino. I giudici parlano di “costante nebulosità del narrato di Vincenzo Scarantino”. “Anche nel procedimento ha prospettato una ricostruzione dei fatti che non può coincidere con la realtà, soprattutto nella misura in cui ha attribuito in toto ad Arnaldo La Barbera in primis e ai suoi uomini poi, la paternità di tutta una serie di dichiarazioni accusatorie che altro non potevano essere se non il frutto dei margini di autonomia che per scelta o per necessità gli vennero lasciati”. Per i giudici “la tendenza al mendacio condiziona irreversibilmente la possibilità di valorizzare le sue dichiarazioni accusatorie nei confronti degli imputati rispetto alle quali è improponibile pensare di potere estrarre, con la certezza che richiede l’odierna sede, elementi di verità”.
Giammanco “mortificò la storia professionale” di Paolo Borsellino
L’ex Procuratore di Palermo Pietro Giammanco “mortificò la storia professionale” di Paolo Borsellino “imbrigliandone le iniziative investigative”. “Si pensi alla circostanza che egli aveva impedito a Borsellino di sentire Buscetta dopo l’omicidio Lima, e che non gli conferì la delega a indagare su Palermo fino alla mattina del 19 luglio del 1992” scrivono i giudici di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza del processo sul depistaggio. “Inoltre la sua figura – scrivono i giudici -. non può non legarsi alla certamente inadeguata protezione di Paolo Borsellino”.
Indagini La Barbera in contrasto con la legge e i principi costituzionali
“Non vi è dubbio alcuno che” l’ex dirigente della Squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, a capo del gruppo investigativo Falcone e Borsellino, “fu interprete di un modo di svolgere le indagini di polizia giudiziaria in contrasto – non solo oggi ma anche nel tempo – prima ancora che con la legge, con gli stessi dettami costituzionali” scrivono i giudici di Caltanissetta. La Barbera, secondo i giudici, “pose consapevolmente in essere una lunga serie di forzature, abusi e condotte certamente dotate di rilevanza penale”. Però “gli elementi probatori analizzati non consentono di ritenere che La Barbera fosse concorrente esterno all’associazione mafiosa o che l’abbia agevolata favorendo il perdurare dell’occultamento delle convergenze dell’associazione con soggetti o di gruppi di potere cointeressati all’eliminazione di Paolo Borsellino e dei poliziotti della sua scorta”. Per i giudici La Barbera era “anche egli una anello intermedio della catena e sarebbe stato importante potere risalire quella catena per potere apprendere appieno scopi e obiettivi dell’attività di cui si discute”.
Processo Via D’Amelio: clima di diffusa omertà istituzionale
Nel processo sul depistaggio sulla strage di Via D’Amelio si respirava “un clima di diffusa omertà istituzionale” dicono i giudici del Tribunale di Caltanissetta che hanno scritto le motivazioni della sentenza emessa il 12 luglio del 2022. I giudici hanno inviato gli atti du quattro ex poliziotti che hanno testimoniato alla Procura. a Loro parere gli ex appartenenti al gruppo Falcone e Borsellino “hanno reso dichiarazioni insincere”. Si tratta di Maurizio Zerilli, “con i suoi 121 non ricordo” in aula, di Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco, definito “reticente”, e Giuseppe Di Gangi, che avrebbe reso dichiarazioni “insincere”.
Mario Santo Di Matteo, un pentito che non ha raccontato tutto
“Si ritiene che Di Matteo Mario Santo sia a conoscenza di altri particolari riguardanti le stragi, che questi particolari riguardano soggetti istituzionali, e che egli non abbia inteso e tuttora non intenda riferire per un timore evidentemente ancora attuale per la vita propria e dei suoi familiari”. A scriverlo nelle motivazioni della sentenza sul depistaggio Borsellino sono i giudici del Tribunale di Caltanissetta. “È evidente come Mario Santo Di Matteo e Francesca Castellese non riferiscano sul tema i fatti di cui sono a conoscenza e la circostanza che non lo facciano da venticinque anni, lungi dall’essere conferma di ciò che essi sostengono, prova solo la loro pervicacia nell’omissione di riferire”, dicono. “E tale dato non solo è innegabile ma è potenziato dal fatto che si è di fronte ad una costante negazione assoluta senza spiegazioni, tanto è vero che, a fronte delle contestazioni del P.M., Mario Santo Di Matteo non risponde – sviando il discorso sugli altri argomenti di taglio emozionale legati alla deprivazione genitoriale derivante dalla scomparsa del figlio – limitandosi a negare e senza fornire alcuna ricostruzione alternativa del significato dell’intercettazione”.