Last updated on 24 ottobre 2021
Un Sud “al bivio”, sospeso tra recessione e speranze di ripresa. E’ questa l’immagine delineata dall’ultimo numero di Check up Mezzogiorno − semestrale curato congiuntamente dall’Area Mezzogiorno di Confindustria e SRM−Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) − che fornisce informazioni dettagliate sulle tendenze congiunturali per regioni e grandi ripartizioni.
Il focus sulla crisi mostra che la recessione non accenna a lasciare le regioni meridionali, ed anzi sta forse toccando proprio ora il punto più basso, colpendo il Mezzogiorno più del resto del Paese.
I valori lasciati sul campo dall’economia e dalla società del Sud dall’inizio della crisi sono impressionanti.
Nel 2010 il PIL meridionale è calato di circa 19 miliardi rispetto al 2007 (-6,1%), gli investimenti sono diminuiti di 7,5 miliardi (-10,8%), il fatturato complessivo delle imprese manifatturiere è diminuito di quasi 2 miliardi (-2,8%), quasi 320 mila occupati hanno perso il lavoro. Nello stesso periodo, il ricorso alla Cassa integrazione è stato massiccio, ed in aumento nel corso del 2011 (159 milioni di ore in più).
Così gli squilibri strutturali che caratterizzano il Mezzogiorno sono rimasti inalterati o, semmai, hanno fatto registrare peggioramenti ulteriori. Il PIL pro capite è ancora pari a circa il 42% di quello del Centro Nord, nonostante la crescita della popolazione meridionale si sia ormai interrotta. Rispetto ai paesi dell’Unione europea a 27, il dato del PIL procapite del Mezzogiorno è inferiore di oltre il 31%, divario che si riflette in valori degli indicatori relativi ad Europa 2020 che sono tra i più bassi dell’intera Unione.
Tuttavia, alcuni flebili segnali di inversione di tendenza iniziano ad essere visibili, consolidandosi rispetto alla precedente rilevazione.
La crisi ha favorito, infatti, una ulteriore selezione da parte del mercato, con l’espulsione delle imprese meno competitive e l’aumento delle società di capitali, segno di un ispessimento lento, ma costante, del tessuto produttivo meridionale, sempre di più costituito da minori imprese ma di migliore qualità. Le esportazioni meridionali, dal canto loro, sono tornate a crescere nel 2011 (+14,7%) ad un ritmo superiore a quello del Centro-Nord, nei paesi del Mediterraneo e perfino (seppure in maniera ridotta) nei mercati più dinamici come i BRICS.
Qualche timido segnale positivo si intravede, in un quadro complessivo che permane comunque assai pesante, anche nel mercato del lavoro (a fine 2011 il numero degli occupati segna un +0,4%), mentre si consolida la leadership delle regioni meridionali nel campo delle energie rinnovabili e riprendono anche gli arrivi turistici nelle regioni meridionali.
“La crisi – secondo gli autori del rapporto – si conferma paradossalmente come l’elemento esterno che può stimolare gli attori del sistema a fare ciò che fino a questo momento non si è voluto o potuto fare: le imprese, a riprendere la via degli investimenti per affacciarsi sui mercati con maggiore fiducia, conpiù forza competitiva, con idee innovative e con voglia dilavorare in rete; le istituzioni finanziarie a sostenere l’accesso al credito promuovendo la crescita patrimoniale e dimensionale delle piccole imprese; le amministrazioni, a dimostrare di essere finalmente capaci di assecondare questi sforzi, accentuando nel Sud la produzione di utilità collettive e arrestando lo spreco di capitale umano, soprattutto giovanile e femminile”.
Be First to Comment