Al termine del sesto anno consecutivo di crisi, il Mezzogiorno ha bruciato una fetta significativa della propria ricchezza: tenendo conto delle stime per il 2013, saranno 43,7 i miliardi di euro di Pil perduti dall’economia meridionale tra il 2007 e il 2013. Questi i dati pubblicati nel volume «Check-up Mezzogiorno» da Confindustria e Studi e Ricerche per il Mezzogiorno. Al centro di questa distruzione di ricchezza c’è una severa selezione della base imprenditoriale, che prosegue con andatura allarmante. Nei primi nove mesi del 2013, quasi 100 mila imprese meridionali hanno cessato la loro attività, ad un ritmo di 366 cessazioni al giorno: ben 2.527 sono le aziende fallite.
Per quanto riguarda aperture e cessazioni, dal 2007 al 2013 si sono «perse» circa 30.000 imprese, di cui circa 15 mila solo nei primi 9 mesi del 2013. Si rafforza una netta divaricazione nei risultati d’impresa: quelle che ce la fanno, e si rafforzano anche durante la crisi, sono imprese di media dimensione, che vedono crescere il proprio fatturato (+8,2%), così come le grandi imprese (escluse le raffinerie), che lo accrescono seppur di poco; in flessione, invece, il fatturato delle piccole imprese, con un calo del 9,3% tra il 2007 ed il 2012. Per le une e per le altre le dinamiche creditizie restano negative: gli impieghi nel Mezzogiorno continuano a scendere (9,3 miliardi di euro in meno rispetto al 2012), mentre i crediti in sofferenza hanno superato i 31 miliardi di euro, cioè l’11,1% del totale.
L’andamento dell’export spiega una parte importante di questi risultati differenziati. Le esportazioni del Mezzogiorno si sono ridotte, nel III trimestre 2013, del 9,4% rispetto al III semestre 2012: si tratta di risultati fortemente condizionati dal calo della siderurgia e degli idrocarburi, mentre segnali positivi fanno registrare i prodotti alimentari, quelli chimici e soprattutto le esportazioni dei distretti produttivi meridionali (+11,5% nel II trimestre 2013), in particolare in Puglia, Sicilia e Campania.
Cresce il numero di imprese che mettono in atto comportamenti proattivi per opporsi alla crisi: in controtendenza rispetto alla riduzione del numero assoluto di imprese nel 2013, si consolida il numero delle società di capitali (+3,2%) e raddoppia in soli 6 mesi il numero di imprese meridionali aderenti a contratti di rete. Il clima di fiducia delle imprese manifatturiere meridionali, pur restando il più basso tra le 4 macro aree, continua il suo lento miglioramento, tornando ai livelli dell’estate 2011.
Se alcuni segnali, dunque, indicano che la caduta imposta dalla crisi inizia a rallentare, non si arresta il calo degli occupati. A fine 2013, si stimano infatti oltre 600 mila occupati in meno rispetto al 2007; questo numero è quasi raddoppiato nell’ultimo anno. La disoccupazione ha raggiunto il 19,8%, quella giovanile interessa ormai un giovane su due. Se i timidi segnali di crescita che si iniziano ad osservare a fine 2013 verranno confermati, il vero pericolo è che si possa produrre nel 2014 una debole «ripresa senza occupazione», in cui i posti di lavoro creati non sono sufficienti a compensare quelli perduti per effetto della ristrutturazione in atto.
Secondo il report, serve un cambio di passo nel generale orientamento delle politiche economiche del Paese e, in particolare, delle politiche di sviluppo per il Mezzogiorno. Da un lato è necessario intervenire con urgenza per realizzare alcune delle riforme strutturali: la drastica riduzione del cuneo fiscale, il taglio strutturale della bolletta energetica, lo smaltimento completo dello stock di debiti accumulati dalla Pa nei confronti delle imprese. Dall’altro, con particolare riferimento al Mezzogiorno, è fondamentale il ruolo che possono svolgere le politiche di sviluppo, sia nel breve, sia nel lungo periodo: la loro azione è decisiva per una economia fortemente dipendente dall’azione pubblica come quella meridionale.
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