Last updated on 7 marzo 2021
Gli imprenditori vinicoli Maurizio e Giuseppe Micicchè, proprietari della cantina Calatrasi di San Giuseppe Jato (Pa), sono indagati insieme ad una zia e ad un dipendente di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e riciclaggio. L’azienda è nota al grande pubblico perché produce vini di qualità presenti anche nella grande distribuzione, coma Ljetas, Terrale e la linea D’Istinto. Con loro un imprenditore lucano è indagato per concorso in truffa aggravata. I finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, coordinati dalla procura di Palermo, stanno perquisendo le sedi della cantina Calatrasi e stanno sequestrando conti correnti, immobili e autoveicoli degli imprenditori, per un controvalore di circa un milione e 900 mila euro.
Secondo l’ipotesi accusatoria, gli imprenditori palermitani Miccichè hanno ottenuto, indebitamente, un contributo pubblico, per oltre 1,5 milioni di euro, da fondi comunitari in Puglia riciclandone poi, a fini personali, circa la metà. La vicenda inizia nel 2007, quando la storica azienda vinicola, alcuni anni dopo l’acquisizione di uno stabilimento vitivinicolo nella provincia di Brindisi, richiedeva, ricevendolo in più tranche fino al 2010, un contributo alla Regione Puglia, finalizzato, alla ristrutturazione di detta cantina. I finanzieri, partendo da due operazioni bancarie apparentemente scollegate da quel contesto e seguendo i soldi, dicono di aver ricostruito “un articolato sistema di frode, attuato dal rappresentante dell’azienda con l’ausilio di un imprenditore lucano trapiantato a Milano, per mezzo del quale è stata rappresentata alla Regione Puglia una realtà completamente artefatta, sia sotto il profilo dell’impegno finanziario apportato dagli imprenditori nell’investimento, sia sotto il profilo delle spese effettivamente sostenute”.
Dall’analisi finanziaria effettuata dai militari sarebbe stato appurato che per mezzo di fatture false, transazioni bancarie anomale e documentazione fasulla, gli imprenditori palermitani del vino hanno ottenuto finanziamenti indebiti utilizzati, almeno in parte, per ripianare debiti pregressi piuttosto che per ammodernare gli strumenti di produzione. Infine, una parte del “bottino” è rientrato in azienda o è stato spartito in famiglia. Anche la società è indagata per le stesse ipotesi di reato. “Non abbiamo ancora contezza del provvedimento giudiziario. Ci difenderemo nelle sedi opportune”, dice Maurizio Miccichè uno dei titolari della cantina.
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