Quattro a uno. E’ il rapporto tra gli studenti siciliani che decidono di andare all’estero per l’esperienza Erasmus e quelli stranieri che, invece, scelgono la Sicilia. Ogni anno, infatti, sono circa 900 gli universitari che prediligono mete straniere e soltanto 250 optano per l’Isola. Dove, inoltre, solo due studenti su cinque godono della borsa di studio. Dati che fanno riflettere se si pensa, poi, che il 30 per cento degli studenti siciliani fa le valigie per andare a studiare fuori e che, nella sola città di Trapani due persone su tre si iscrivono in atenei fuori dalla Sicilia.
Sono alcuni dei dati snocciolati durante il primo incontro della IX edizione de Le Giornate dell’Economia del Mezzogiorno. Un’edizione intitolata “Dall’ammuina al nuovo ordine sociale”.
“Bisogna investire su crescita, sviluppo, formazione e innovazione – ha sottolineato il rettore dell’Università di Palermo Fabrizio Micari -. Ogni territorio ha delle sue specificità: occorre definire una volta per tutte una strategia regionale che coinvolga le istituzioni. L’Università intende essere partner di questo percorso per contribuire alla formazione di queste idee”.
Ma ci sono anche dati confortanti. “Se in alcuni settori come l’Ingegneria, a cinque anni, il 93% dei laureati ha uno sbocco occupazionale (rispetto al 94% della media nazionale), altri corsi di laurea come Beni culturali che dovrebbero dare più opportunità in Sicilia, sfiorano appena il 50% delle possibilità lavorative post studi per i neo dottori. A Palermo, poi, il 95 per cento delle domande di partecipazione ai dottorati proviene dall’estero”, ha aggiunto Micari.
E allora cosa fare? “Bisogna muoversi su un duplice binario: una sfida sul territorio ma anche una sfida per aumentare l’appeal dall’esterno, per avere la capacità di internazionalizzarsi. Ma come si può contribuire alla crescita? Attraverso i rapporti con le imprese, ad esempio, con attività di tirocinio. I nuovi paradigmi della crescita sono la sostenibilità, la digitalizzazione e un’economia di condivisione”, ha spiegato Fabio Mazzola, pro rettore dell’ Università degli Studi di Palermo.
“Il tema di questa edizione è un po’ provocatorio. È Il significato del disordine come qualcosa che sembra un ordine organizzato ma che non porta a nulla, una nuova condizione in un momento in cui nuovi cambiamenti sembrano travolgere il pensiero dominante. Dopo eventi come la Brexit ci ritroviamo con un’Europa non dimezzata ma certamente diminuita. E abbiamo avuto un ulteriore nuovo schiaffo con le elezioni americane. L’Università in questo momento deve avere un ruolo fondamentale e fungere da collegamento tra enti di ricerca esterni”, ha detto Pietro Busetta, presidente della Fondazione Curella.
Nel pomeriggio a Palazzo delle Aquile si è parlato di sviluppo socio-economico del Sud del Paese. Presenti il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, il direttore generale della Banca Popolare Sant’Angelo Ines Curella, il presidente della Fondazione Curella Pietro Busetta e il presidente Svimez Adriano Giannola.
“In questi anni 2000 – ha detto il presidente Svimez Adriano Giannola – possiamo dire che l’Italia si è attestata allo stesso livello della Grecia. E’ vero, però, che stiamo uscendo dalla crisi del 2014 con i 4 trimestri successivi che sono stati positivi. Ma perché gli imprenditori facciano qualcosa, lo Stato deve dare precise coordinate come regista, non può fare soltanto l’arbitro. Al sud mancano almeno 500.000 posti, negli ultimi 10 anni abbiamo assistito a una forte emigrazione con circa 700.000 persone che sono andate via dal Sud; di questi il 30 per cento hanno un titolo di laurea. L’Università italiana, che è stata il grande ascensore sociale dello sviluppo italiano, è di livello e produce una ricerca di qualità che si piazza al quarto posto a livello mondiale, ma con risorse estremamente ridotte rispetto alle altre. Dalla crisi in poi si è passati dal 66 al 55 per cento del tasso di iscrizione universitaria, un dato preoccupante. Oggi l’Università perde immatricolazioni, ancora di più nel Mezzogiorno. Ci avviamo ad un Sud più vecchio anche anagraficamente rispetto al resto del Paese. Sarebbe bene fare una riflessione sull’intero sistema Italia e non solo sul meridione”.