Eni e il fondo americano SK Capital hanno convenuto di porre fine alla trattativa per la cessione di una quota di maggioranza delle azioni di Versalis S.p.A. avendo constatato l’impossibilità di trovare un accordo su alcuni punti negoziali tra cui, in particolare, la futura governance della società. Eni pertanto dalla prossima semestrale tornerà a consolidare integralmente Versalis nei conti di Gruppo.
«Forse non avevamo tutti i torti quando, sin dall’inizio di questa tortuosa trattativa e, soprattutto, dopo 4 scioperi generali, affermavamo che Sk Capital non poteva assumere la governance della prima azienda chimica italiana. È questo, in sintesi, il commento delle segreterie territoriali di Filctem, Femca e Uiltec, Filippo Scollo, Giorgio Saggese e Giuseppe Scarpata, alla notizia di chiusura trattative tra Eni e il fondo investimenti americano, Sk Capital, il player finanziario che aveva manifestato interesse per l’acquisto di Versalis. In effetti – affermano i segretari dei chimici – anche Eni, senza troppe allusioni e con intelligente cautela, aveva posto l’accento della trattativa su almeno due paletti sociali irremovibili: mantenimento perimetro industriale e inviolabilità occupazionale, anche se poi la trattativa da quel che apprendiamo oggi, si interrompe per non condivisione del potere di Governance. La volontà di Eni, a farla breve, era quella di cedere una quota importante della proprietà di Versalis, il 70% del pacchetto azionario, a un fondo d’investimento straniero che avrebbe dovuto garantire assetti occupazionali e produttivi, oltre agli investimenti in progetto, per la propria controllata, con un management tutto italiano. Adesso, concludono le segreterie, attendiamo affidamenti sul piano industriale, dato che Versalis torna nel recinto delle attività industriali di eni, forte di un conto economico del primo semestre che lascia ben sperare per una chiusura di bilancio ancora con utili per il 2016».
La vendita di Versalis a Sk Capital è stata vista da subito dal sindacato come una sorta di exit strategy, da parte di eni, dalla chimica italiana, per potersi dedicare agli affari del petrolio e gas estratto e prodotto all’estero. Un piano che non aveva convinto parti sociali e lavoratori. Non c’era garanzia per la continuità occupazionale e produttiva degli stabilimenti italiani, siciliani. Del resto, parlare di “clausola di salvaguardia” in un contratto di cessione attività industriali la diceva lunga sul rischio che l’operazione di vendita dell’asset chimico del gruppo Eni a un fondo monetario poteva comportare.