Il grido d’allarme lanciato dai vescovi siciliani al termine della sessione primaverile della Conferenza episcopale regionale che chiede alla classe dirigente locale e nazionale altri atteggiamenti e altre scelte. “Dobbiamo constatare amaramente che si sta diffondendo un clima di anti-politica che certamente non giova alla democrazia – dice Pennisi -. Soprattutto per i giovani siamo preoccupati, sia perché con questo clima di sfiducia spesso non vogliono impegnarsi nel campo sociale né nel campo politico, e sia perché molti di questi giovani sono disoccupati”.
E’ necessario contrastare l’anti-politica anche per il capo dello Stato: Napolitano ha ricordato quanto sia importante additare ai giovani esempi positivi. Voi avete parlato di don Luigi Sturzo nei vostri lavori: è questo un esempio positivo da consegnare alle giovani generazioni?
Don Sturzo, di fronte alla corruzione della vita pubblica del suo tempo, non si rifugiò in sacrestia, non considerò la politica una cosa sporca ma si impegnò rischiando di persona attraverso il rilancio del movimento cattolico, attraverso una profonda riforma morale fondata sull’educazione delle nuove generazioni. Sturzo concepì la politica come atto di amore al servizio del bene comune e questo mi pare che sia di una grandissima attualità. Quindi è importante indicare questi esempi. Ma ci sono tanti altri esempi, tanti parroci, tanti laici e questo ci fa sperare in un futuro che nella società civile e nei gruppi ecclesiali possa trovare dei punti di forza.
Il vostro sguardo si sofferma in maniera molto dettagliata sugli aspetti socio-economici. Voi dite: la crisi attuale richiederebbe altri atteggiamenti da parte della classe dirigente. Quali le priorità?
Innanzitutto, c’è il problema di venire incontro all’emergenza lavoro non moltiplicando gli impieghi pubblici ma cercando, attraverso una serie di iniziative, di microcredito, di sostegno all’economia, di far sì che si possa diffondere una cultura imprenditoriale. La seconda emergenza collegata a questa è l’emergenza povertà. L’agricoltura è in crisi per la concorrenza dei prodotti dell’Africa del Nord, e poi mancano le necessarie infrastrutture: questo contribuisce negativamente anche allo sviluppo del turismo. E’ importante qiuindi, sia da parte del governo nazionale sia da parte del governo regionale, un’attenzione al grido che parte dalla nostra gente, che renda la Sicilia una regione come le altre.
Nel 2011 sono fallite, nella regione, 601 aziende. A chi riuscite a stare a fianco?
C’è un progetto-povertà che è fatto in collaborazione con i comuni e con la Regione; poi c’è un progetto di micro-credito, per esempio a Gela, dove sono stati annunciati 500 cassaintegrati, la nostra diocesi vuole attivare un fondo di solidarietà risparmiando anche sugli aspetti esteriori di alcune feste religiose.
Questa crisi sta ridimensionando i rapporti, il modo di pensare della gente o sta solo portando ad un declino del Paese?
Io dico questo: da una parte, ci sono elementi che potrebbero sfociare in una rivolta sociale; dall’altra parte, però, ci sono reazioni positive. Per esempio, a Piazza Armerina siamo riusciti a mettere insieme 17 enti ed associazioni per un progetto di sviluppo del territorio. Quindi, ci sono anche segni di speranza; questi segni di speranza devono trovare nelle nostre popolazioni meridionali i protagonisti di un riscatto.