Il Giudice per le indagini preliminari di Palermo Ettorina Contino ha disposto la scarcerazione dei due deputati regionali Nino Dina e Roberto Clemente e dell’ex deputato Franco Mineo, perché sono cessate le esigenze cautelari, ossia essendosi sostanzialmente conclusa l’indagine, con l’acquisizione di tutti gli elementi probatori necessari, i tre non hanno più la possibilità di inquinare le prove.
Quindi a prescindere dall’impianto accusatorio, su cui il Gip non è entrata nel merito, visto che doveva solo pronunciarsi sulla convalida del fermo, i gli indagati non andavano arrestati.
Ma la querelle fra difesa e accusa è molto più complicata: i difensori di Clemente hanno sostenuto che per il loro assistito non andava applicato, come è stato fatto dalla Procura di Palermo, l’art. 96 del Decreto 361 del 1957 che stabilisce le pene per chi: “offre, promette o somministra denaro, valori, o qualsiasi altra utilità, o promette, concede o fa conseguire impieghi pubblici o privati ad uno o più elettori o, per accordo con essi, ad altre persone” durante le elezioni per la Camera dei Deputati, ma l’art. 86 del Decreto 570 del 1960 che si riferisce alle pene per chi commette il reato di voto di scambio durante le elezioni degli organi comunali.
L’applicazione dell’uno o dell’altro provvedimento legislativo cambia sostanzialmente il regime della custodia cautelare: il Decreto 361/1957 prevede una pena che va da uno a quattro anni (termine minimo per cui si può chiedere la custodia cautelare) mentre il decreto 570/1960 prevede una pena da uno a tre anni (termine che non fa scattare la custodia cautelare) e che quindi renderebbe la richiesta dei pm sostanzialmente nulla.
Il Gip non ha ritenuto di entrare nel merito della querelle e ha ritenuto che non ci fossero le esigenze cautelari che, ricordiamo, possono essere legate esclusivamente al pericolo di fuga, alla reiterazione del reato o alla possibilità di inquinare le prove, ma la procura di Palermo ha agito correttamente sul versante dell’individuazione del reato da contestare.
Lavoro in cambio di voti è l’accusa principale addosso ai due onorevoli in carica, all’e ex deputato dell’Ars e ad un altro indagato che sfiorò l’elezione al Comune di Palermo: Roberto Clemente, Franco Mineo, Nino Dina e Giuseppe Bevilacqua.