Maxi frode fiscale e un vasto gito di fatture false scoperte a Messina dalla Guardia di Finanza. L’operazione l’hanno chiamata “Zero tasse”. I militari del Comando Provinciale e della Sezione di PG hanno eseguito un ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Gip Maria Vermiglio, su richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di quattro imprenditori ed un professionista, ed effettuato il sequestro preventivo di 23 milioni di euro su conti correnti e disponibilità finanziarie riconducibili agli indagati. In carcere sono finiti i fratelli Angelo e Antonio Di Dio, imprenditori nel settore informatico e il commercialista, Francesco Paolo Fiocco di Torregrotta, ma con uno studio avviato a Messina. Sono stati sottoposti ai domiciliari invece i due intestatari di società di comodo, Giovanni Vinci e Giovanni di Blasi. I reati ipotizzati sono associazione per delinquere finalizzata all’emissione ed all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e bancarotta fraudolenta. L’indagine, che è nata da un controllo fiscale eseguito nei confronti di una ditta che vende prodotti informatici, ha fatto emergere l’esistenza di un’organizzazione finalizzata alle frodi fiscali, capeggiata dai fratelli Di Dio e dal commercialista Francesco Fiocco. Gli arrestati, una volta venuti a conoscenza delle indagini, si sono premurati di occultare e distrarre beni di alcune società coinvolte nella frode, successivamente dichiarate fallite dal Tribunale di Messina, incorrendo anche nel reato di bancarotta fraudolenta. Gli imprenditori Vinci e Di Blasi, finiti ai domiciliari, ricoprivano formalmente la carica di rappresentanti legali di società di comodo, di fatto amministrate dai fratelli Di Dio, utilizzate per emettere fatture false a favore di altre società riconducibili all’organizzazione criminale. Le attività di indagini delle Fiamme gialle, svolte sotto la direzione della Procura della Repubblica di Messina, hanno consentito di scoprire un sofisticato sistema di frode attuato tramite un vasto giro di fatture false fra diverse società facenti capo agli indagati, operanti nel settore del commercio dei prodotti elettronici ( telecamere, macchine fotografiche, cellulari, computer, navigatori satellitari.), destinati alla grande distribuzione e al commercio al dettaglio via web. Gli indagati si sono avvalsi di ditte individuali e società “cartiere”, dislocate nelle province di Messina, Pesaro, Roma, Taranto e Treviso, ma anche a Malta, Romania e Sloveni, gran parte delle quali gestite direttamente nella città dello Stretto. Il meccanismo fraudolento ha garantito un elevato profitto, rappresentato dall’Iva non versata all’erario, sia ai promotori della frode che agli amministratori delle società.