Pino Maniaci non può vivere nè in provincia di Palermo nè in quella di Trapani. La Cassazione ha respinto, giudicandolo inammissibile, il ricorso presentato dai legali del direttore di Telejato contro il diveto di dimora, disposto dal tribunale del riesame a inizio giugno.
Maniaci è accusato di estorsione nei confronti di alcuni amministratori locali. Per lungo tempo simbolo dell’antimafia per le sue lunghe battaglie in difesa della legalità, secondo l’accusa Maniaci avrebbe chiesto denaro e agevolazioni ai sindaci di Partinico e Borgetto per evitare commenti critici sull’operato delle amministrazioni. . Maniaci ha sempre respinto le accuse, lamentandosi di essere stato “punito” per le sue inchiste scomode.
A Maniaci sono contestate tre estorsioni. Per quella a carico dell’ex assessore Gioacchino Polizzi di Borgetto, il gip non dispose il divieto di dimora (come invece chiedeva la procura). La misura fu emessa, invece, per gli altri due taglieggiamenti. Per un errore di notifica dell’udienza di discussione davanti al riesame, le misure vennero dichiarate nulle e il giornalista tornò a Partinico, dove ha sede Telejato. Era rimasto al vaglio dei giudici il divieto di dimora per la terza estorsione. Contro la bocciatura del gip, la Procura ha fatto e vinto ricorso al Riesame che ha concesso il provvedimento. La misura non è stata però eseguita perché i legali di Maniaci, Antonio Ingroia e Bartolo Parrino, hanno fatto ricorso in Cassazione. Con l’inammissibilità decisa dai giudici romani il divieto è ora esecutivo.
Questo l’editoriale dell’emittente Telejato:
Aspettiamo di conoscere le motivazioni, ma intanto la giustizia, se così la si può chiamare, va avanti con questa assurda trovata, il cui obiettivo, nemmeno tanto nascosto, è quello di arrivare al più presto alla chiusura dell’emittente. Il pensiero va ai venti capi d’imputazione contestati alla Saguto e al fatto che nessuno ha per lei chiesto l’allontanamento dalla sede dove è presente il suo “cerchio magico”, una volta, ma forse ancora oggi, in grado di decidere sulla sua sorte e su quella di altre persone a lei legate. Quello che non quadra in tutta questa vicenda è l’applicazione di una misura cautelare che, stando ai quattro mesi trascorsi in sede ultimamente, da quando Maniaci è rientrato, durante i quali il presunto inquinamento delle prove o la presunta reiterazione del reato non si è verificata, come questa possa tornare a verificarsi per il futuro. Difficile entrare nella testa dei magistrati che, dopo avere confezionato la polpetta avvelenata del video, hanno deciso che il reato contestato e non ancora giudizialmente decretato, poiché il processo si preannuncia con tempi lunghi, rispetto al breve tempo con cui è stato deciso il parere della Cassazione, era così grave, da decretare l’allontanamento. In fondo, a guardare il tutto si tratterebbe di una presunta estorsione da “untorello”, da cinquanta a trecento euro, a parte quella delle duemila magliette mai confezionate: miserie in rapporto alle estorsioni che i nove compagni di disgrazia di Maniaci, ovvero i boss di Borgetto, stavano realizzando sul territorio sotto il loro controllo.
Rimane la domanda inquietante: perché per le persone che, grazie al potere della violenza di cui dispongono, non c’è allontanamento e per le elemosine chieste da Maniaci e da lui poi ampiamente giustificate, si continua su questa linea di “ostracismo”? Sullo sfondo pare delinearsi con chiarezza la vendetta della Saguto che, si badi bene, sembra caduta in disgrazia, ma ancora è tutto da decidere, e di tutti quelli che nel tribunale di Palermo partono dall’assunto che loro e solo loro sono i depositari della facoltà di indagare, di quella di emettere un giudizio di colpevolezza, che non è quello che emerge dalle inchieste giornalistiche, oltre che dell’applicazione del significato autentico dell’antimafia. La verità dei giornalisti non esiste. Essi devono aspettare quello che la Procura dà loro in mano e quindi amplificare quello che essi decidono, ma non possono permettersi né di valutare né di giudicare.
A questo punto c’è solo da decidere se chiudere e arrivare a un definitivo “abbiamo trasmesso” o se continuare una battaglia per la verità e contro la mafia che, a quanto pare, non è compito dei giornalisti portare avanti.
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